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- ARTICOLI DAL MONDO -

"I Curdi non hanno amici, ma montagne" - di Umut Suvari

January 09, 2017

Nel 2014, quando il mondo aveva appena iniziato a conoscere e ad essere colpito dalle “feroci storie” dell’ISIS, la gente curda è stata colpita dritta al cuore dal tentativo di massacro/genocidio degli Yazidi provenienti da Sinjar, in Iraq, e da Kobanê, Rojava, Kurdistan. Il popolo curdo di Kobanê ha avuto la possibilità di auto difendersi ma, sfortunatamente, gli Yazidi non hanno avuto né la possibilità di difendersi da soli, né sono stati protetti dalle forze dell’ordine della regione curda dell’Iraq. Gli Yazidi sono stati lasciati soli. Migliaia sono stati uccisi, migliaia di ragazze e donne sono state rapite come schiave, e centinaia di migliaia sono stati costretti a fuggire.

La delocalizzazione degli Yazidi nel campo di Fidanlik

January 02, 2017

Gli yazidi (Ezidi) hanno sperimentato nel 2014 il genocidio da parte dell’ISIS nella loro patria, Sinjar/Iraq. Dopo questo massacro, migliaia di loro sono dovuti emigrare verso la Turchia e sono stati messi in campi a Diyarbakir, Batman, Mardin, Sirnak e Urfa. Uno di questi campi è quello di Fidanlık, che è affiliato con il comune di Diyarbakır Yenişehir. Nella prima fase, quasi sette migliaia di persone sono state sistemate in questo campo. Durante i due anni e mezzo, i comuni di Diyarbakır e di Yenişehir hanno sostenuto tutte le spese del campo, senza alcun sostegno da parte del governo centrale. Quando il centro di Sinjar è stato liberato dall’ISIS in data 13 novembre 2015, la stragrande maggioranza degli yazidi è tornata a Sinjar, ma 1.029 persone sono rimaste al campo di Fidanlık. Gli yazidi, che non hanno alcuno status giuridico in Turchia come altri rifugiati in fuga dalla Siria, Iraq e altri paesi del Medio Oriente, hanno vissuto nel campo senza alcun diritto legale.

Il Kurdistan resiste: riflessioni di un’attivista curda

December 20, 2016

Bakur (“Nord”) è il nome dato dai curdi all’insieme del territorio delle province turche dell’Anatolia sudorientale. Tale area nella seconda metà dello scorso anno è stata flagellata da operazioni militari. Tuttavia l’attività militare si è caratterizzata per una serie di prolungati coprifuoco che, talora per settimane, hanno impedito una vita regolare alla popolazione di origine curda di Cizre, Silvan, Diyarbakir-Sur, Sirnak, Yuksekova, Nusaybin e altre città. Molti civili si sono rifugiati nelle cantine di edifici e sono morti quando questi sono stati rasi al suolo o incendiati.

Le trattative negoziali finalizzate alla pace, che erano state intraprese a fine 2012 fra lo stato turco e il PKK si sono interrotte a luglio 2015, ormai vanificate. Infatti la rappresentanza legale dei curdi nel Parlamento di Ankara, conquistata dal partito HDP nelle elezioni di giugno e ribadita in quelle di inizio novembre, non ha in pratica mai potuto esprimersi. Addirittura, quest’anno, è stato votato un provvedimento che privava dell’immunità parlamentare numerosi parlamentari, colpendo principalmente quelli dell’HDP.

Il 15 luglio 2016 è stato tentato un colpo di stato, volto al rovesciamento del sempre più autocraticoPresidente Erdogan. Da allora la repressione si è inasprita, non solo nei confronti dei curdi. Ha colpito giornalisti ed editori, accademici, magistrati, ufficiali delle forze armate, sospettati a migliaia di un qualche coinvolgimento nel colpo di stato. Quanto ai curdi, molti dei loro rappresentanti parlamentari, che pure avevano condannato il ricorso al colpo di stato del 15 luglio, sono stati arrestati: a partire dai co-presidenti dell’HDP, Figen Yuksegdag e Selahattin Demirtas, 10 deputati e tutti cosindaci comprese ex deputati e ex sindaci curdi.

Le violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali in Turchia si sono fatte così evidenti che anche il Parlamento Europeo si è espresso per condannare le politiche repressive portate avanti dal governo Erdogan, con una risoluzione del novembre 2016. E mentre la democrazia turca assume sempre più i tratti di un totalitarismo, i curdi del Bakur– più che chiunque altro – si confermano il suo nemico numero uno.

Alla negazione della propria identità, la popolazione di origine curda risponde, ancora una volta, con la resistenza quotidiana. Nelle città, nei campi profughi, nelle trincee. Nel silenzio o al suono dei mortai. Resistono gli adulti, che intonano canti partigiani per farsi coraggio, e resistono i bambini, che giocano fuori dai tendoni bianchi per sfollati. Resistono da sempre, direbbero le militanti del movimento delle donne del Kurdistan, perché la libertà non rimanga solo un sogno.

Articolo di Ozlem Tanrikulu, UIKI-Onlus, Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia.

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